di Andrea Casavecchia
“Allo scoppio della Battaglia della Montagnola nei giorni tra l’8 il 9 e il 10 settembre 1943 si trovò all’interno del Forte Ostiense. Si dedicò all’assistenza dei feriti e cadute le difese militari, organizzò la fuga dei soldati fornendo abiti civili e indicazioni su dove nascondersi. In assenza di comandi militari gestì la resa della piazzaforte uscendo per primo con la bandiera bianca issata su una pertica…”. Sono alcune delle parole che descrivono una piccola parte dell’impegno di don Pietro Occelli durante la Seconda guerra mondiale. Si possono leggere sulla targa commemorativa a lui dedicata il 9 settembre 2021 in piazzale Caduti della Montagnola.
Don Pietro è stato parroco della parrocchia Gesù Buon Pastore in due periodi storici: tra il 1938 e il 1945 e tra il 1955 e il 1970. La sua figura è stata una forte testimonianza per la comunità che nasceva proprio negli anni del suo primo mandato. La ricordano Alberto Donati, presidente dell’Ac parrocchiale, e Gualtiero Milana, responsabile degli Adulti.
Gualtiero ci puoi raccontare alcuni episodi che coinvolgono il parroco durante il periodo dell’occupazione nazifasiscta?
Prima di parlare del periodo della guerra bisogna fare qualche passo indietro. La nostra parrocchia è stata fondata alla fine degli anni Trenta del Novecento. Tutto il territorio era in aperta campagna e andava dalla basilica di San Paolo Fuori le Mura e il convento delle Tre Fontane. Un’area ampia di 2mila ettari della periferia di Roma. Non esistevano strade come la Cristoforo Colombo o viale Marconi. Le abitazioni erano soprattutto baracche dove vivevano circa 5000 abitanti. La comunità nascente era povera, alcuni non avevano le scarpe. Don Pietro era una vocazione adulta, proveniente dalla Società San Paolo a cui era stata affidata la parrocchia. Lui era anche il cappellano militare del Forte Ostiense.
Subito dopo l’armistizio si è trovato a sostenere i militari italiani che hanno cercato di opporsi all’ingresso delle truppe tedesche nella capitale e ha trattato la resa, cercando di far fuggire con l’aiuto di alcune suore quelli che erano sopravvissuti alla battaglia. Uscì lui dal forte con un panno bianco legato a un palo.
Durante l’occupazione don Pietro nascose ebrei e militari dentro la parrocchia, di solito vestiti da seminaristi o preti, quando arrivavano le perquisizioni scendevano nei livelli sotterranei più profondi sotto le fondamenta della chiesa e fortunatamente non sono stati mai trovati. Bisogna pensare che Il territorio della parrocchia era fuori le mura, non era considerato dentro “Roma, città aperta”. Chiunque avesse collaborato con la resistenza sarebbe stato fucilato sul posto, quindi. Era stato proprio don Alberione – il fondatore della Società San Paolo – a invitare a don Pietro di accogliere queste persone. Bisognava rispondere alla richiesta di Papa Pio XII di cercare di mettere in salvo questi perseguitati. In quella zona c’era anche il seminario dei paolini, ma Alberione non voleva mettere a rischio i giovani, Don Pietro, poi, era una vocazione adulta prima di diventare prete era stato un avvocato, quindi avrebbe avuto maggiore capacità ad affrontare le situazioni più intricate. Roma era città aperta, ma il territorio della parrocchia era fuori il confine urbano quindi qualora fossero stati trovati sarebbero tutti stati fucilati.
Alberto, come è ricordato don Pietro nella comunità parrocchiale di Gesù Buon Pastore? Voi avete ricordi particolari?
Il rapporto della comunità parrocchiale con don Pietro è stato molo profondo. Lui ha vissuto in parrocchia per molti anni come parroco, ma verso l’ultimo periodo della sua vita è tornato a dare una mano. Le persone più anziane ricordano don Pietro come persona sempre vicina ai più deboli. Erano diverse le iniziative (la mensa, la scuola) che ha portato avanti per sostenere le persone che vivevano nella baraccopoli che soprattutto dopo la seconda guerra mondiale si era venuta a formare nella zona. Si sono raccolte le persone – come in altre parti di Roma – abbandonavano le campagne o altre regioni del centro. Allo stesso tempo era un uomo schietto e anche duro. Nella sua vita è sempre rimasto legato alla parrocchia, tanto che nel 1975 – quando non era più parroco tornò per celebrare il funerale di Maria Rosaria Lopez, una delle due ragazze vittime del delitto del Circeo. Alcuni ancora ricordano l’invettiva rivolta ai giovani che avevano massacrato e ucciso la giovane. Ne leggo un estratto che è stato pubblicato su un volume che ricorda il 75 anniversario della fondazione della parrocchia: “Si sono messi, quei maledetti, sulla via di Caino. Sono dei volgarissimi uomini imbottiti di ignoranza e di quello che conoscono solo con i sensi, simili a porci senza ragione, se ne servono per la propria e altrui corruzione. Diventano come onde furiose che rigettano a riva la schiuma della loro nefandezza” Ai cristiani San Giuda Taddeo suggerisce questo comportamento “Abbiate verso di loro una compassione mista di timore (essi difatti ammazzano) avendo in orrore persino i loro ricchi abiti (le lussuose macchine) macchiati e insozzati della carne perversa e marcia”
Poi negli Novanta – per gli ultimi anni del suo servizio pastorale – era ritornato in parrocchia. Personalmente di lui ho un ricordo molto particolare. L’ho conosciuto da ragazzo e mi colpiva la sua cultura, la sua stanza era piena di libri. Ricordo la sua disponibilità ad accogliere e a perdonare quelli di noi più giovani che si avvicinavano al suo confessionale. Una volta mi regalò un libro perché la fede va approfondita con la cultura. Il nostro assistente di Ac don Alberto ci diceva di guardare a lui come esempio prima di uomo di fede, poi di prete.
Gualtiero, ricordi un legame che lega don Pietro con l’Ac?
Beh in questa parrocchia l’Ac c’è stata da sempre. Durante la sua fondazione un gruppo di soci del circolo della Basilica di San Paolo si prese l’incarico di mettersi al servizio dell’implantatio ecclesiae nella nuova realtà. Durante gli anni Cinquanta con l’Ac andava a visitare le famiglie che abitavano nelle baracche e con la Gioventù Femminile aveva organizzato dei corsi di recupero per la scuola. Don Pietro ha avuto sempre un rapporto fruttuoso con l’Ac.
Anche durante l’occupazione nazifascista il primo gruppo di resistenza ruotava intorno alla sua figura e la Brigata Partigiana nella quale militavano anche alcuni iscritti all’associazione, oltre ai militari che non si erano arresi dopo la caduta del Forte Ostiense era intitolata a Piergiorgio Frassati, una figura a lui molto cara, piemontese come lui.