L’Azione Cattolica: mistero e profezia (1)

Per una riscoperta del Principio e Fondamento dell’impegno laicale
accompagnati da Giuseppe Lazzati

di Mattia Arleo, Consigliere diocesano dell’AC di Roma, Presidente del Gruppo Diocesano “Vittorio Bachelet” dell’AC di Roma

«Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?» (Sal 11, 3).
L’interrogativo tagliente del Salmo 11 è quantomai attuale. Lo è, soprattutto, per i battezzati che, al fianco della Chiesa, sono chiamati a portare il Vangelo nel mondo. Lo è, ancor di più, per noi soci di Azione Cattolica.
In un’altra traduzione, la medesima domanda ha il seguente tenore: «Ora che tutto è crollato, un uomo di fede che cosa può fare?» (Traduzione interconfessionale). Cosa possiamo fare, noi, uomini e donne di fede, quando vediamo tutto crollare? Che cosa possiamo fare dinanzi alle macerie della nostra esistenza e del mondo? Cosa possiamo fare quando, con occhi ormai privi di entusiasmo, prendiamo atto che anche la nostra storica realtà associativa ha perso attrattiva?
Davanti al nostro sguardo si stagliano divisioni, soprusi, gelosie, lotte, guerre, disastri. Queste vicende,
tuttavia, riguardano la superficie della realtà. Il Salmo 11, invece, ci invita a concentrare l’attenzione sulle
fondamenta”.
Forse, allora, quelle divisioni, quei soprusi, quelle gelosie, quelle lotte, quelle guerre, quei disastri che
costellano la cronaca dell’epoca attuale non sono altro che il bubbone di un male più profondo, che
riguarda l’essenziale e non il “superficiale”.
Il problema è che “sono scosse le fondamenta”, ma noi a mala pena riusciamo a gestire l’andazzo della
superficie della realtà in cui viviamo!
Cosa deve fare allora il giusto? La risposta è presto data: «Ma il Signore nel tempio santo, il Signore ha il trono nei cieli. I suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo» (Sal 11, 4). È una risposta che ci distoglie dalle distrazioni che ci vedono concentrati a ricercare, in maniera esasperata, finte ed inefficaci soluzioni ai problemi del mondo e dei contesti nei quali operiamo e per cui tanto ci adoperiamo. È una risposta che ci riporta, invece, all’essenziale, al Principio e Fondamento di ogni cosa: Dio.
La domanda del Salmo 11, allora, potrebbe essere così rimodulata: «Ora che tutto è crollato, un uomo di fede che cosa può fare per rimanere giusto?». E la risposta potrebbe essere: «Ma il Signore continua ad abitare il suo tempio santo. Ha sì il trono nei cieli, ma i suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo».
In sostanza, l’uomo e la donna di fede chiamati a vivere questo tempo di pandemici bubboni, per rimanere “giusti” nel mezzo delle catastrofi, devono compiere l’esercizio di scrutare la presenza di Dio nell’oggi e testimoniarla al mondo. Sì, proprio a questo mondo in macerie!
L’epoca attuale ci sta lanciando una sfida importante: comprendere davvero il fine per cui siamo creati e
per cui operiamo.
Tante volte, anche noi di Azione Cattolica – soprattutto chi è chiamato a servire l’Associazione in ruoli
di responsabilità – siamo ingabbiati in un esasperante pessimismo che ci porta allo scoraggiamento, alla
diffidenza, allo sconforto, alla nostalgia per i tempi che furono.
Eppure, ci è stato fatto un grande dono, ci è dato un mirabile strumento per testimoniare il nostro amore
per Cristo, per noi stessi e per gli altri: l’Azione Cattolica. Essa, lungi dall’essere il fine del nostro impegno
laicale al servizio della Chiesa e del mondo, è invece, al pari delle altre realtà temporali, lo strumento che,
mediante il suo carisma, ci è donato per conseguire il vero fine per cui siamo creati: lodare, riverire e servire Dio.
Ecco, allora, le due direttrici del mistero e della profezia che l’Azione Cattolica potrebbe recuperare e incarnare in questo tempo.
Recuperare il senso del mistero significa riacquistare la capacità di cercare e trovare Dio nelle cose del mondo, anche in quelle in cui meno ci si aspetta di vederlo all’opera.
Essere profezia, lungi dal rimandare all’idea di pre-dire il futuro, significa, invece, capacità di dire il presente, ossia di leggere le realtà temporali con gli occhi di Dio.
È necessario, allora, un processo di de-centramento da sé, difficile ma necessario: non io ma Dio (come
direbbe Carlo Acutis); non con i miei occhi, ma con quelli di Dio; non il mio modo di fare, ma quello di
Dio.
Si tratta, evidentemente, di un primo passo da compiere per dare una risposta alla domanda posta dal
Salmo 11: «Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?» (Sal 11, 3). Un primo passo, ma non l’unico.
Può essere utile, a tal proposito, richiamare quanto affermato dai Padri conciliari: «Per loro vocazione, è
proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le realtà temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta
» (Lumen Gentium, n. 31).
Giuseppe Lazzati, che ispirerà le nostre riflessioni, commenta con queste parole l’espressione conciliare:
«a. il posto dei laici, la loro collocazione – da non intendersi in senso puramente sociologico, ma come luogo teologico della loro santificazione – è il “secolo”, cioè il mondo veduto nella sua dimensione entitativa e storica, il suo essere e il suo divenire;
b. la loro missione è quella di ordinare le realtà proprie del secolo, cioè le realtà temporali, secondo Dio, ossia di adempiere all’invito del Creatore al primo uomo e da intendere quale sua legge costitutiva: “… assoggettare la terra”;

c. questa missione, cioè l’impegno secolare, chiede di essere adempiuta nel modo proprio di chi, in Cristo, recupera l’immagine e somiglianza di Dio. Sicchè i fedeli laici, fatti “uomini nuovi”, hanno il compito di “fare nuove tutte le cose”, nel senso di sottrarle all’alienazione di una ragione schiava dell’istintualità e ridare a esse, grazie alla ragione restituita in Cristo e nella luce della fede alla sua originaria capacità, il giusto valore a servizio dell’uomo. È solo nell’ambito di questo quadro – dunque,
né in contrapposizione, né in giustapposizione al medesimo – che va colto l’impegno laicale per chi vi è chiamato dallo Spirito, vivendo così la piena responsabilità di una presenza e di un’azione di trasformazione del mondo ordinata a una costruzione della città dell’uomo sempre più a misura d’uomo
» (Impegno laicale ed evangelizzazione, pp. 25-26).

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