Pellegrini, segni di Speranza

Il racconto e i materiali della Giornata di spiritualità fraternità e ricerca in Avvento

L’appuntamento di spiritualità in preparazione all’Avvento è un appunto che caratterizza il settore Adulti e quest’anno, alle porte del Giubileo, non poteva che trarre spunto dall’Anno Santo e da quanto papa Francesco ci ha indicato per viverlo appieno.

Il nostro momento di spiritualità è iniziato nella basilica di Sant’Agostino dove Monica dell’equipe diocesana ci ha aiutato a leggere e contemplare l’affresco di Caravaggio La Madonna dei pellegrini o Madonna di Loreto.

Di questo affresco, oltre a calarci nella storia contemporanea al Caravaggio, è stato sottolineato il concetto di “soglia”, quel piedistallo illuminato che funziona da punto di incontro tra i pellegrini, giunti lì a chiedere aiuto, e la Vergine che esce oltre la soglia stessa per guardare con estremo affetto le due figure. I pellegrini, i cui piedi sporchi e la cuffietta fecero gran “schiamazzo” secondo le cronache del Baglione, sono gli uomini e le donne di ogni tempo che si mettono in cammino cercando rifugio e salvezza; la grazia è il corpo illuminato di Gesù che come un raggio scende in diagonale verso gli occhi oranti. Questa salvezza è possibile attraverso la mediazione di Maria che piega il proprio capo per “guardare” l’umanità.

Loredana Palmieri ha quindi guidato la preghiera, a partire dal brano della parabola del banchetto (Matteo 22,1-14). Partendo dall’affermazione della certezza paolina, ripresa nella Spes non confundit la bolla di indizione del Giubileo, che la «la speranza cristiana non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino», Loredana ha sottolineato come per realizzare il Regno dei cieli siamo chiamati non a compire segni di Speranza ma essere segni di Speranza.

In questo solco, dopo il momento di fraternità, la giornata è proseguita con l’incontro con Daniela De Robert dell’associazione VIC Volontari in Carcere. Il papa nella Spes non confundit ci invita «ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio» e il suo primo pensiero va ai detenuti che «privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto».

Daniela ci ha raccontato la sua esperienza da volontaria e attraverso le storie delle tante persone – persone, questa parola l’ha ripetuta più volte – che ha incontrato ci ha mostrato come è possibile realizzare in molti modi quel «ero in carcere e mi avete visitato» (Mt 25,36) che Gesù stesso ci chiede di realizzare.

Visitare i carcerati significa innanzitutto guardare, vedere e cercare di conoscere la realtà del carcere, una realtà che si fatica a guardare, non solo perché è oltre un muro alto sei metri ma perché pensiamo che oltre quel muro ci sia un altro mondo e invece ci siamo noi quando sbagliamo.

Visitare i carcerati è anche accoglierli, sia praticamente – e Daniela ci ha raccontato le esperienze delle case di accoglienza del Vic – ma anche accogliere i carcerati quando escono; su questo, anche nelle nostre comunità parrocchiali, c’è ancora molta chiusura. Visitare i carcerati è guardare le persone al di là del loro reato perché per uscire dal carcere servono due porte aperte: quella del carcere e quella della società

Visitare i carcerati è anche raccogliere, raccontare e diffondere – anche all’interno del carcere – le tante storie di perdono dei familiari delle vittime. Paradigmatica la storia di due madri che Daniela ci ha racconta: la madre di un carcerato che chiama la madre della vittima per chiederle scusa; si incontrano e da questo incontro tra madri nascerà un’associazione che opera in favore dei bambini.

Visitare i carcerati è anche non chiedere vendetta

Visitare i carcerati è regalare loro qualcosa, perché anche in carcere ci sono i poveri e i poveri in carcere godono ancora di meno diritti. Regalare scegliendo qualcosa che noi stessi metteremmo, perché in carcere non si può scegliere cosa indossare e quindi la responsabilità della scelta è su chi dona.

Visitare i carcerati è anche prendersi cura delle loro famiglie, che spesso vivono con vergogna questa situazione.

Visitare i carcerati comincia prima del carcere, quando notiamo che le persone si stanno perdendo e quindi prima che i loro comportamenti finiscano nell’ambito del penale, quando il sociale non riesce ad intercettare il disagio oppure non vuole perché è più facile relegare alla responsabilità personale piuttosto che impegnare la comunità. Comincia prima che una persona sia attratta dal commettere un reato.

Il racconto di Daniela è stato ricco e denso, e ha fornito anche molte informazioni su questa realtà poco conosciuta e sulle iniziative di solidarietà verso i carcerati aprendo nuovi orizzonti di pensiero anche su alcuni argomenti complessi come la giustizia riparativa e la crudeltà dell’ergastolo che lo stesso papa Francesco ha definito «una pena di morte mascherata». Per questo, allegata a questo articolo, c’è la trascrizione del suo intervento.

Una parte della quota di partecipazione, dopo aver offerto un contributo alle chiese di Sant’Agostino e di San Lorenzo in Lucina che ci hanno ospitato, sarà devoluto all’associazione Vic il cui sito è vic-caritas.org

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