La letteratura quale strumento per amare la carne di Cristo in quella dell’uomo

Commento alla Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione
di Mattia Arleo
Consigliere diocesano dell’AC di Roma-Settore Adulti

«Leggendo le grandi opere della letteratura divento migliaia di uomini e, allo stesso tempo, rimango me stesso. Come il cielo notturno della poesia greca, vedo con una miriade di occhi, ma sono sempre io a vedere. Qui, come nella religione, nell’amore, nell’azione morale e nella conoscenza, supero me stesso, eppure, quando lo faccio, sono più me stesso che mai».
(C. S. Lewis, Lettori e letture. Un esperimento di critica)

Lo scorso 17 luglio, Papa Francesco ha voluto pubblicare una lettera sul ruolo della letteratura nella formazione. Come affermato dallo stesso Pontefice, il testo era stato inizialmente pensato per la sola formazione sacerdotale. Considerata la centralità del tema affrontato – ossia, il valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale – il Santo Padre ha preferito estenderlo anche all’ambito della formazione di tutti gli agenti pastorali e a qualsiasi cristiano.
Nel proporre una sintesi del testo, è efficace richiamare tre declinazioni che Papa Francesco offre della letteratura.
Essa è presentata, in primo luogo, come strumento per entrare in dialogo con la cultura del tempo e con la vita delle persone concrete. La letteratura è espressione dei simboli, dei messaggi, delle creazioni e delle narrazioni di chi ha voluto evocare imprese, ideali, violenze, paure e passioni profonde. È, quindi, manifestazione dello spirito del tempo in cui il cristiano vive ed è chiamato ad operare. Mettere a tacere tali “voci” significherebbe arroccarsi su di una grammatica storico-culturale considerata immutabile e, molte volte, inadatta ad esprimere la ricchezza e la profondità del Vangelo. Pertanto, il contatto con i diversi stili letterari e grammaticali permetterà sempre di approfondire la polifonia della Rivelazione senza ridurla o impoverirla alle proprie esigenze storiche o alle proprie strutture mentali. Attraverso la letteratura si esprime la presenza dello Spirito nella eterogeneità della realtà umana. La capacità del cristiano deve essere quella di cogliere il seme già piantato dallo Spirito negli avvenimenti, nelle sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali. In questo solco, la letteratura può essere considerata non solo strumento per mettersi in dialogo con lo spirito del tempo, ma anche per ascoltare “la voce di qualcuno”. Se da un lato c’è infatti il rischio di tapparsi le orecchie all’ascolto della voce del tempo che viviamo, dall’altro c’è il pericolo di smettere di ascoltare la voce dell’altro che ci interpella. E così, si cade subito nell’autoisolamento, si accede ad una sorta di sordità “spirituale”, la quale incide negativamente pure sul rapporto con noi stessi e sul rapporto con Dio, a prescindere da quanta teologia o psicologia abbiamo potuto studiare. La letteratura, così, rende sensibili al mistero degli altri e ci fa imparare a toccare il loro cuore. Toccando il cuore dell’altro, si può anche guarire da quella “incapacità emotiva” che sta terribilmente colpendo l’Occidente e che si manifesta come incapacità di emozionarsi davanti a Dio, davanti alla sua creazione, davanti agli altri esseri umani.
La letteratura è presentata, poi, come palestra di discernimento. Essa, invero, affina le capacità sapienziali di scrutinio interiore es esteriore. Inoltrandosi sul terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati, il lettore è sempre sollecitato ad operare un discernimento nel quale non mancheranno angosce e crisi. Il lettore vive sempre l’esperienza del “venire letto” dalle parole che legge.
La letteratura è presentata, infine, come un telescopio puntato su esseri e cose, indispensabile per mettere a fuoco “la grande distanza” che il quotidiano scava tra la nostra percezione e l’insieme dell’esperienza umana. In tal senso, essa diviene un argine contro l’efficientismo, l’insensibilità e la superficialità del nostro tempo, in quanto aiuta a prendere le distanze da ciò che è immediato, a rallentare, a contemplare e ad ascoltare. Osservando la realtà attraverso il telescopio della letteratura, inoltre, possiamo imparare a “vedere attraverso gli occhi degli altri”. Miracolosamente, essa diviene sintesi delle diversità, della pluralità diacronica e sincronica di culture e saperi. Attraverso un linguaggio universale, la letteratura rende non estranee ma condivise quelle diversità. Leggendo scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola.
La lettera del Papa rappresenta senz’altro un significativo invito anche all’Azione Cattolica che può cogliere tale messaggio per un rilancio della sua missione culturale nel mondo. È tempo che tra le parole-chiave che formano il tessuto vitale della nostra associazione e che ne sintetizzano il carisma rientri pienamente anche la parola “cultura”. Una cultura che sappia partire dal cuore dell’essere umano, dai suoi desideri profondi, dalle sue tensioni essenziali. Una cultura che, abbandonate le proprie roccaforti considerate inconquistabili, sappia toccare con mano la carne dell’uomo lasciandosi mettere in “crisi” e sappia così testimoniare davvero il Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Una cultura, quindi, sempre attenta – nel trasmettere i valori del Vangelo – a non perdere mai di vista la “carne” di Gesù: quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore.

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