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Dove la gioia non avrà misura e fine. Verso l’alto con Pier Giorgio

Pubblichiamo il contributo che Pierluigi Vito ha proposto al Campo adulti del 20-22 settembre 2024 raccontando in immagini e parole la vita di Pier Giorgio Frassati.

A Pollone c’è il cielo. Bella forza, direte voi. Sì, ma il punto è che il cielo che c’è a Pollone a Torino non si vede. Sul clivo della Burcina, poi, si può scorgere lungo l’orizzonte, dove la piana si lega alla volta celeste, come in città non si riesce nemmeno a immaginare.
Lo sa bene Pier Giorgio, che ama ogni singolo giorno che riesce a trascorrere con i suoi nella villa di famiglia – del ramo materno – per respirare l’aria buona. Ma ancora meglio è quella che trovi se continui a salire. Magari fino ai 1160 metri del Santuario d’Oropa: ci vogliono circa 2 ore e 20 di cammino da Pollone, ma se sei pratico qualche scorciatoia la trovi. E quando arrivi ti aspetta la messa, la comunione, l’incontro col Signore.
Ma il Signore lo puoi trovare anche più su: da Oropa parte la strada del Tracciolino, che ti porta alla cascina Deirra, poi la Cascina Giassetti e zigzagando sul filo della cresta arrivi a un poggio, a quasi 2000 metri, che ti apre ancor di più gli occhi e il cuore. E oggi quel poggio, porta il nome di Pier Giorgio.
È quasi il coronamento di una storia d’amore.


“Ogni giorno che passa mi innamoro sempre più della montagna; il suo fascino mi attira. Io capisco
questo desiderio di sole, di salire su, in alto, di andare a trovare Dio in vetta. Oh, come le opere di
Dio sono grandi e meravigliose! Vorrei passare intere giornate sui monti
a contemplare in quell’aria pura la Grandezza del Creatore.”


Così scriveva il giovane delle otto beatitudini. Ma gli starebbe bene anche il soprannome di Giovane del Tabor. Come nell’episodio evangelico della Trasfigurazione, Pier Giorgio sa che seppure sul monte incontri Dio, nel suo
splendore, nella sua magnificenza, la vita ti aspetta a valle.
E a valle c’era la sua famiglia, rigorosa e sabauda, verrebbe da dire. A casa si respirava un clima da caserma, per l’educazione rigida impartita dai genitori Alfredo e Adelaide: pensate che a tavola, specie al pranzo della domenica, capitava che ai figli venisse imposto di tenere delle monete sotto le ascelle per assumere una postura statuaria. Non era solo Pier Giorgio, c’era la sorella Luciana con cui condividere le giornate: nata l’anno dopo (a Pollone, beata lei!), compagna di giochi (ma pure antagonista degli immancabili litigi da bambini) e testimone delle stranezze del fratello, fin da piccolo.
Come la volta che una donna si presentò alla porta della loro casa a chiedere l’elemosina. In braccio aveva un bambino scalzo. Lo slancio di Pier Giorgio fu immediato: si levò le scarpe, poi le calze e in fretta e furia diede tutto alla donna dicendo di non dire niente a nessuno e chiuse la porta.

I poveri, già. A Torino non mancavano. La capitale declassata del Regno d’Italia stava trovando un’occasione di riscatto nella grande epopea industriale del ‘900.
Era appena nata la Fiat e tante altre fabbriche seguiranno, con tutte le contraddizioni del caso: perché di lavoro non ce n’è per tutti; e che succede se lo perdi o peggio se ti infortuni mentre sei intento a lavorare? E cosa accade alle vedove e agli orfani di chi muore in fabbrica?

È un mondo che pare distante dalla famiglia Frassati: papà Alfredo è rampollo della borghesia torinese e ha saputo mettere a frutto doti personali e condizioni di partenza. Insieme alla nascita dei figli, negli stessi anni diventa direttore e unico proprietario del quotidiano La Stampa. Nel 1913 viene nominato Senatore del Regno, nel 1920 rifiuta la proposta di Giolitti di entrare nel suo nuovo governo, ma accetta la nomina di ambasciatore a Berlino. Ci resta due anni: appena arriva al potere Mussolini, con la Marcia su Roma, Frassati dà le dimissioni.Anche la mamma Adelaide, che è una cugina di suo marito, non tollera il nuovo regime: dotata pittrice, partecipa con le sue opere ad esposizioni nazionali. Ma con l’avvento del fascismo decide di non aderire più a manifestazioni pubbliche.
Buon sangue non mente, e anche a Pier Giorgio queste camicie nere non andranno per niente a genio. La sua ostilità non è solo politica, ma anche evangelica.

La religione, in casa Frassati, è cosa da donne. Il padre non ha a che
fare con Dio, ci pensano allora la mamma e più ancora la nonna materna, Linda, a indirizzarlo sul cammino di fede. La comunione la fa il 19 giugno del 1911, la cresima il 10 giugno 1915.
Attenzione a questa data. L’Italia è in guerra contro l’Austria-Ungheria da poco più di due settimane. Il padre, da buon giolittiano, si è schierato per il non intervento, e Pier Giorgio condivide l’avversione per il conflitto: cerca la strada per rendersi utile in tempi di tanta sofferenza e decide di inviare i suoi risparmi alle famiglie dei feriti e dei caduti. Narra la sorella Luciana che parlando con una cameriera di casa, che aveva perso un fratello al fronte, domandò: «Natalina, lei non darebbe la vita per fare cessare la guerra?» e al diniego della donna lui rispose: «Io sì che la darei, anche subito!».

Credeva nell’amicizia tra i popoli Pier Giorgio; ed è naturale per un alpinista. Chi va in montagna vede nelle persone che lo accompagnano, e in quelle che incontra, dei fratelli che sopportano la stessa fatica, che condividono la stessa bellezza, che gustano la medesima grazia.
Voleva farsi compagno di strada Pier Giorgio, per questo la sua biografia ci parla di un ragazzo indaffarato in un mare di impegni e iscritto in molteplici associazioni. Tanto per citarne alcune: l’apostolato della Preghiera; la compagnia del Santissimo Sacramento; la Società di San Vincenzo De’ Paoli; il Terz’Ordine
domenicano; la Gioventù di Azione Cattolica, la Fuci e il Partito Popolare.
Con tanto attivismo dove trovava il tempo per studiare? E infatti viene bocciato tra seconda e terza ginnasio; e poi altre due volte rimandato in latino. Eppure Pier Giorgio, una volta trasferitosi al liceo dei Padri Gesuiti di Torino, comincia a trovare nuovo senso nello studio, un orizzonte, un progetto: quello che una volta conseguita la maturità lo porterà a iscriversi a Ingegneria mineraria, cioè si immagina un futuro in cui potrà lavorare per cercare di migliorare le condizioni dei minatori, forse i lavoratori più poveri, quelli con l’esistenza più misera. Per uno come lui, affamato di cielo e di vette, immaginarsi di spendere la vita lavorativa nelle viscere della terra deve essere stato un
travaglio non da poco. Non a caso in francese, lavorare si dice travailler…

Ma intanto qualcosa si può fare già adesso. Con la carità, indubbiamente. E in questo la San Vincenzo De’ Paoli è per lui un trampolino prezioso per tuffarsi in un impegno costante a favore dei poveri:
le sue tasche a fine giornata sono sempre vuote, entra nelle case dei bisognosi con rispettosa cordialità e umiltà sincera, attento a non mettere mai in imbarazzo chi è costretto all’indigenza. Perché chi arranca sulla strada della vita, trova conforto in una mano che aiuta a superare un inciampo sul sentiero. E la forza che gli permette di aiutare gli altri la trova nell’eucarestia:


“Gesù mi fa visita ogni mattina nella Comunione, io la restituisco nel misero modo
che posso, visitando i poveri”.

Va a trovare il padre a Berlino e si presenta all’ambasciata intirizzito dal freddo perché ha regalato il cappotto a chi non aveva niente per proteggersi dal gelo. Fa arrivare una donazione anonima di 500 lire alla San Vincenzo per permettere a un pover’uomo di comprarsi un carretto da gelataio per guadagnarsi il pane.
Chiede a un’amica di preparare in fretta e furia un corredino da bebè da portare a una donna che ha appena partorito in una stamberga. Non ama “i poveri”, Pier Giorgio: ama “ogni povero”, immagine di Cristo, sommo bene.
C’è poi un altro strumento per aiutare la povera gente: la politica. Se ne parla, la si respira in casa quasi quotidianamente grazie a papà Alfredo, che tra il lavoro di giornalista e quello di parlamentare avrà costituito sicuramente un punto di riferimento per Pier Giorgio. Ma non da seguire pedissequamente: sono altri i compagni di avventura che lui sceglie, non i circoli liberali dove il nome di Frassati gli avrebbe aperto un lusinghiero cursus honorum.
Pier Giorgio sceglie l’avventura di una formazione appena nata, giovane come lui, cristiana come lui, il Partito Popolare. L’idea di una presenza cattolica nella vita politica del Paese lo coinvolge, lo appassiona fino allo struggimento di fronte alla partecipazione di uomini del suo partito al primo governo Mussolini.

Abbiamo detto dell’avversione verso il fascismo di suo padre e sua madre; e nel giugno del 1924 gli squadristi fanno irruzione in casa Frassati. Pier Giorgio non si tira indietro e li affronta: qualche colpo lo prende, qualche altro lo dà, e alla fine scaccia quelle canaglie.
Perché nell’animo di Pier Giorgio c’è un istinto sanguigno.
A settembre del 1921 è a Roma per il Congresso della Gioventù Cattolica. Viene organizzata in quelle giornate una manifestazione pubblica, che sfila per le vie della città, con canti e stendardi. Beh, questi pericolosi facinorosi vengono caricati dalle Guardie regie, intenzionate a sciogliere la sediziosa adunata. Anche qui Pier Giorgio non si fa pregare e risponde all’assalto per difendere la bandiera del suo circolo: risultato, viene arrestato con diversi suoi amici. E mentre attende la scarcerazione interviene a difendere un compagno di sventura aggredito da una guardia.

Che razza di spirito a tratti indomabile fosse Pier Giorgio lo sapevano bene al circolo “Cesare Balbo” della Fuci di Torino: dopo la nascita del governo Mussolini, invia al Consiglio direttivo del circolo una lettera…
Per coerenza vi restituisco la tessera e il distintivo che non mi appartengono più; farò parte dell’ACI come socio della GCI che ha seguito in questa occasione una netta linea di condotta, perché Essa non può ossequiare colui che come capo di Governo non sa porre un freno ai propri dipendenti e lascia che si violentino continuamente i circoli e i soci. Del resto, non c’è da meravigliarsi, Gesù Cristo stesso ha detto “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce”, ma ha detto anche “guardatevi dai falsi profeti e dai lupi che [vengono] a voi sotto forma di
agnelli”.
La frattura si ricompone, Pier Giorgio rientra, ma non si trattiene: nel 1924 si arriva all’espulsione sua e dell’amico Marco Beltramo per indisciplina, rei di aver animato a modo loro un convegno che gli sembrava troppo noioso.

1924. È l’anno in cui brilla il carisma di Pier Giorgio come magnete di spiriti affini. Giovani che gli somigliano per passioni, speranze, modo di intendere l’esistenza.
Marco, Isidoro, Laura, Tonino, Clementina, Gian Maria, Tina… sono compagni di fede, di preghiera. E di montagna. E proprio durante una delle scarpinate organizzate da Pier Giorgio – che cominciavano con la messa alle 4 e mezza del mattino – nasce la Società dei Tipi Loschi, che ha una chiara ragion d’essere: vivere in buon umore e serenità per dissipare dai cuori scrupoli e malinconia e poter così servire Dio in perfetta letizia. Ciascun membro, lestofanto e lestofantessa, si dà un soprannome. Quello di Pier Giorgio è Robespierre: più che adatto per chi sarà a capo della sezione dedita agli scherzi denominata “Terrore”.


“Finché la fede mi dà la forza, sempre allegro”, “Verso l’alto”, “Vivere senza una
fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la
Verità, non è vivere, ma vivacchiare”.


Sono motti, citazioni, esortazioni che hanno superato un secolo, per arrivare fino a noi. Hanno camminato le parole di Pier Giorgio, hanno attraversato il tempo e lo spazio, hanno segnato il cammino di tanti di noi in questa sala come pure una moltitudine di persone che non riusciamo a immaginare o contare.
Pensiamo a quelli che si presentarono alla chiesa della Crocetta il 6 luglio 1925: il giovane che correva sempre si è spento il 4 luglio per una poliomielite fulminante; nessuno in casa si accorge che sta male, distratti dall’agonia di nonna Linda, che muore un paio di giorni prima. Al funerale c’è un’aria di lutto pesante, la spensieratezza dei Tipi Loschi è stata abbattuta da un turbamento indicibile: perché Dio ci ha strappato Pier Giorgio? Perché il Signore ha rinunciato a tutto il bene che poteva fare? I suoi familiari sono scossi dal doppio colpo che la morte ha inferto alla famiglia.
Ma sono ancora più sbigottiti dalla processione di gente, molti mai visti, tanti con indosso povere vesti, che riempiono ogni angolo della chiesa, che si affollano sul sagrato, che circondano la bara con le lacrime agli occhi e la riconoscenza nel cuore. Nel venire a sapere quanta misericordia era stata sparsa da Pier Giorgio, il
senatore Alfredo Frassati lascia uscire dalle sue labbra le parole più dolorose per un genitore: “Io non conosco mio figlio”. È il rimpianto che strazia un padre che non ha condiviso quanto di più prezioso il sangue del suo sangue ha sperimentato nel suo cammino terreno: la gioia pura del dare la vita come dono per gli altri, come benedizione del Salvatore.
Ed ecco che tutto trova risposta.
I semi lanciati da Pier Giorgio germogliano e portano frutto, Dio non lo ha estirpato da questa terra, lo ha fatto fiorire. E ora il suo nome, la sua testimonianza, la sua santità superano le montagne. La vetta è conquistata, la fatica è stata ripagata. Come egli stesso scrisse nel discorso pronunciato per la benedizione della bandiera del circolo Giovane Pollone (perché come in un sentiero ad anello tutto si ricongiunge, l’inizio sposa la fine)…

La nostra vita per essere cristiana è una continua rinunzia, un continuo sacrificio, che però non è pesante quando solo si pensi che cosa sono questi pochi anni passati nel dolore in confronto all’eternità felice, dove la gioia non avrà misura e fine, dove noi godremo di una pace che non si può immaginare.